venerdì 14 ottobre 2011

Miti involontari



A me il fanatismo fa incazzare. I fanatici sono gente che non è disposta a discutere, gente per la maggior parte ignorante, o che si fa una cultura seguendo un'unica strada, la sua.
Ci sono i fanatici musicali, fan di questo o quel gruppo (Pink Floyd e Beatles penso siano in testa a questa speciale classifica), ci sono i fanatici di cinema (Tarantino uber alles) e così via.

Recentemente è morto Steve Jobs. E ne hanno dette su di lui di cotte e di crude, che se Jobs fosse ancora vivo non ci crederebbe neanche lui: ha cambiato il mondo, ha rivoluzionato la vita di tutti noi, è stato un genio, ha creato dei prodigi, e cose simili.
Il Mac, l'iPad, l'iPod hanno rivoluzionato il mondo? Ammazza come sta messo male il mondo, allora.
Jobs è stato semplicemente un uomo-marketing come non ce ne sono mai stati in giro, un uomo che è stato il più abile creatore di un brand, quello della mela morsicata. Se Jobs ha rivoluzionato qualcosa, è stata la dinamica del mercato, non il mondo.

L'8 Ottobre è scomparso Dennis Ritchie, il papà di Unix e C (leggete QUA)
Il 27 settembre è scomparso Wilson Greatbatch, ovvero l'uomo che ha inventato il peace-maker.

Ma non mi risulta che ci siano state copertine di importanti giornali dedicate a questi due personaggi che magari non hanno cambiato il mondo (ma nessuno realmente l'ha mai fatto), ma uno ha inventato la tecnologia (assieme ad altri) che ha permesso a persone come Jobs di fare quello che hanno fatto, un altro ha salvato un numero inimmaginabile di persone.
E non ho visto internauti che nell'avatar avevano una foto di Ritchie, nè tantomeno un pacemaker in bianco e nero.

Involontariamente, Steve Jobs ha saputo creare un brand anche con la sua morte. E non penso che nella tomba se la passi tanto bene.

Concludo con una frase letta su un fumetto di Michele Medda, che pressapoco faceva così: "Siamo stati capaci di arrivare sulla luna, ma sul mondo c'è ancora gente che muore di sete e di fame"

martedì 11 ottobre 2011

Della Sergio Bonelli Editore e altre amenità



Leggo fumetti da quando ho imparato a leggere (anche se, a onor del vero, per tutta la mia adolescenza li ho abbandonati per poi riprenderli), amo in maniera viscerale questa arte, e spenderei vagonate di soldi (se li avessi) per qualsiasi fumetto che mi suscita anche il minimo interesse. Come lettore di fumetti ho ovviamente i miei gusti: sono cresciuto con i Bonelli, ed è l'unico genere? tipologia di fumetto? che seguo in maniera quasi maniacale, spendendo anche bei soldini. Eppure ne ho letti a iosa di non Bonelli: Preacher di Garth Ennis è forse il fumetto che ho amato di più. From Hell di Alan Moore cazzo! ho pianto quando l’ho finito (se non altro perché l'avevo pagato 35 euri), La Mia Vita Disegnata Male di Gipi: anche lì ho pianto alla fine (pure se l'avevo pagato meno). Una Ballata del Mare Salato di Hugo Pratt è bibbia tramutata a fumetto. Col Zanardi di Andrea Pazienza posso morire contento.
Ho letto questi come ne ho letti tanti altri. Questa pedante introduzione per dire che amo i fumetti, senza differenzazioni di sorta. No, perchè poi mi piglio del fanatico, e lì mi girano.

Adesso.

Sergio Bonelli purtroppo ci ha lasciati. La sua morte lascia un vuoto oggettivamente incolmabile nel mondo del fumetto mondiale, oltre che italiano. Dove lo trovi un editore che legge tutti, ma proprio tutti i fumetti che pubblica, pure quelli che non gli piacevano? Che approvava il progetto di nuove serie e miniserie anche perché, pur se non vendevano bene, almeno lui aveva qualcosa di nuovo da leggere la sera?
Dove lo trovi un editore che per decenni corteggia un mostro sacro come Moebius, pur ricevendone sempre e solo rifiuti? Che ha atteso pazientemente per otto lunghi anni che Magnus finisse il suo texone, pur di vederlo pubblicato probabilmente più per piacere personale che per ragioni di mercato?

Eppure.

Eppure l'uomo è creatura stupida e invidiosa. L'uomo deve cercare in ogni modo di togliere l'acqua ai mulini degli altri più che portarne al suo.

La politica editoriale di Sergio Bonelli non è mai stata vista da buon occhio dai lettori non tipicamente bonelliani (quello che non sanno che esistono altri fumetti al di fuori dei Bonelli, per intenderci). E' inutile dire che, come è normale e quasi sacrosanto, Sergione non aveva la verità in mano, dirigeva la sua azienda (che in mano a lui è diventata un colosso dell'editoria italiana) seguendo più il suo gusto e i suoi desideri invece che cercare di seguire sempre e solo le effimere regole del mercato.

Nell’ultimo decennio la SBE è abbastanza regredita, col senno di poi. Basti leggere un qualsiasi Dylan Dog di 15 anni fa, e un Dylan Dog attuale. Si noterà una differenza di contenuti, ma soprattutto di modi di interpretare (= revisionare) il fumetto quasi abissale.
Oppure guardate la famigerata griglia bonelliana su un qualsiasi albo di Nathan Never di 15 anni fa e la griglia su un numero recente.
Leggetevi un albo a cazzo di Storia del West o Ken Parker, e uno a cazzo del Tex odierno. Noterete delle differenze stilistiche sia grafiche che narrative evidenti (non parlo di contenuti, dato che le tre serie menzionate sono tre modi molto diversi di rileggere il genere western).

Per dirne qualcuna, anche stupida: nel n. 51 di Dylan Dog ci sono poliziotti che "invocano il nome di Cristo invano". Nel n. 83 di Dylan Dog il disegnatore affida a Umberto Bossi la parte di un cattivo. In Ken Parker si vedono indiani che lanciano neonati per il tiro a bersaglio. Nel n. 29 di Nathan Never c'è una destrutturazione della griglia bonelliana da parte di Stefano Casini a dir poco commovente. E fino a poco tempo fa Tex si fumava una bella sigaretta in copertina.
Cose che adesso possiamo solo sognare di vedere. Non tanto perché siano realmente utili alla riuscita del fumetto (a parte forse la griglia di Casini), ma perchè dimostrano come sui Bonelli sia “concesso” progressivamente sempre meno.

In quanto a proposte, l'ultima serie mensile ad libitum che la SBE ha mandato in edicola è stata Dampyr, creata da Mauro Boselli e Maurizio Colombo. La bellezza di undici anni fa.
Da quel dì solo miniserie, scadenti o meno, autoriali o meno. Se Gianfranco Manfredi col suo Volto Nascosto ha proposto la quint'essenza del fumetto popolare d'avventura, Michele Medda con il suo Caravan ha giocato in tutt'altro territorio, quello del fumetto d'autore, referenziale e autobiografico fino all'esagerazione. Eppure Manfredi ha fatto centro, Medda sembra aver fallito miseramente (stiamo ovviamente parlando di vendite, non di qualità dei prodotti).

La SBE ha poi mandato in edicola la collana dei Romanzi a Fumetti Bonelli, sdoganando finalmente la graphic novel (per me è fimmina) per il mercato bonelliano, offrendo al pubblico "popolare" un prodotto sì da edicola, ma curato sin nei minimi dettagli, con carta di qualità, apparati redazionali, storie autoconclusive di circa 300 pagine, nomi degli autori messi bene in evidenza in copertina. Qualche centimetro in più e una copertina cartonata, e questi Romanzi a Fumetti si venderebbero in libreria a non meno di 25 euri invece che 9.

E ancora.

Poco prima della sua morte, Sergio Bonelli aveva approvato una nuova collana, dal titolo Storie, un mensile da 132 pagine, sorta di figlia minore dei Romanzi a Fumetti: in ogni albo si sarebbero alternati autori e disegnatori che avrebbero raccontato una storia, slegata dal resto degli altri albi. Una collana contenitore, insomma (il primo numero dovrebbe essere realizzato da Roberto Recchioni e Andrea Accardi, acclamati autori, fra le altre cose, di John Doe).

Ma vogliamo parlare dei texoni degli ultimi anni? Sergione aveva da poco annunciato il texone di Enrique Breccia, figlio del grande Alberto, autore fra le altre cose dello stupendo Alvar Mayor con il compianto Carlos Trillo. E' riuscito a offrire al pubblico italiano volumi disegnati da nomi del calibro di Colin Wilson, Joe Kubert, il compianto Manfred Sommer, Oreste Suarez, Carlos Gomez. Su Dylan Dog ci ha permesso di leggere alcuni episodi disegnati dal maestro Domingo Mandrafina.

Tutto quanto ho elencato si racchiude in un arco di tempo che va dal 2000 ad oggi. Se mi metto a spulciare il passato della SBE non ne usciamo più. Cito solo tre nomi perchè voglio masturbarmi mentre li scrivo: Un Uomo un’Avventura, Storia del West e Ken Parker.
Negli anni 80 la SBE era attiva anche sul mercato delle riviste (basti pensare ad Orient Express e Pilot).

Ma come dicevo, l'uomo è creatura infingarda, come direbbe un nanetto di nostra conoscenza. E il lettore di fumetti non è esente da questa definizione.

Un recente articolo, pubblicato sul sito MangaForever, illustra bene questo concetto: un certo Sergio L. Duma, con dovizia di particolari e documentazione davvero encomiabile, ha scritto un cumulo di stronzate da guinness dei primati, sparando a zero su Bonelli, la casa editrice e pure i lettori , definiti da lui stesso "vecchi babbioni". E tutto questo a poche ore dalla morte di Sergio Bonelli.
Caso assai minore, anche Andrea G. Ciccarelli della SaldaPress ha cavalcato l’onda, pur se in maniera molto meno casinara e sicuramente più elegante del Duma. Con un semplice post dal titolo "Fu vera Gloria?", Ciccarelli ha messo in discussione l'operato di Sergio Bonelli nel mondo del fumetto. Una domanda forse legittima, ma farla a poche ore dalla morte risulta un tantino stonato e forse strumentale (e proprio in quella discussione il sottoscritto s'è beccato del fanatico, ma vabbè, son cose mie).

Con tutto quello che ho elencato qui sopra, vi pare oggettivamente possibile criticare Sergio Bonelli utilizzando determinati argomenti quali immobilità, poco coraggio, troppo tradizionale? Criticarlo come se lui e solo lui fosse stato l'artefice dei nostri futuri, come se fosse stato l'unico editore presente sulla faccia del pianeta?
Il bello è che con la scusa del confronto, con la scusa di parlare del miglioramento della Bonelli, si passa inevitabilmente a parlare di cosa ha sbagliato, di quanto è stato fascistoide nel rapporto con i suoi dipendenti e baggianate simili. Da un discorso potenzialmente costruttivo si passa nel 99% dei casi ad un discorso esclusivamente distruttivo.
Poi si finisce a Hitler e al nazismo, e tanti ringraziamenti alla teoria di Godwin.

Quel che avverto nel triste “fumettomondo” è una sorta di infantilità consapevole da parte di lettori e fantomatici addetti ai lavori. Come dire che Hulk è più forte di Superman, e litigare su questo fino a darsele. Ci sono lettori di comics che reputano i Bonelli delle cacatine. Stessa cosa avviene a parti invertite. Per i mangofili la situazione non è certamente diversa.
E quindi tutti giù a sparare stronzate, il lettore di comics, di manga e di bonelli. Poi arriva il bande dessinées di turno e li guarda azzuffarsi compiaciuto, dall’alto della sua cultura, intelligenza e acume.
Tutti giù ad accusarsi reciprocamente, a dire che la mia merda profuma più della tua.

A guardarli dall'esterno, sembrano ultras che si scannano sulla forza delle loro squadre di calcio. Come se si dovesse competere, come se si dovesse dimostrare la propria figaggine nel leggere Tiziano Sclavi piuttosto che Garth Ennis, Jean Giraud piuttosto che Masamune Shirow. Da quando c’è la rete questa infantilità ha preso piede in maniera spaventosa, tutti si sentono in diritto di dire la loro, tutti si sentono in diritto di non documentarsi, di elevare il loro modo di pensiero a verità inconfutabile. Sergio L. Duma è in fin dei conti l’emblema di questa situazione, la mascotte di una ignoranza presuntuosa che sembra non conoscere ostacoli. Come se il mondo del fumetto, un mondo sempre più di nicchia, si possa permettere certi “lussi” da stadio.

Ma mica solo i lettori, eh, perché anche gli autori non sono poi così tanto distanti da questa visione. In genere lo stipendiato bonelliano è persona che parla solo quando deve parlare, limitando al massimo la possibilità di dire fesserie. Un’eccezione a questo mandato è il già citato Roberto Recchioni. Nel senso che spesso e volentieri parla troppo.

A me Recchioni è simpatico, e alcune cose che ha scritte sono talmente caciarone e pacchiane che le ho trovate davvero belle e coinvolgenti (alcuni episodi di John Doe e la miniserie David Murphy 911). Recchioni è stato forse più furbo di altri, riuscendo a costruirsi un seguito di ammiratori non indifferente, fino ad arrivare a creare una sorta di culto della personalità (fumettistica). Il suo blog risulta uno dei più visitati in Italia, e parla di un po’ di tutto, dal fumetto alla critica sul web, dal cinema alla musica, dalla politica alla tecnologia, passando per il calcio e anche per il porno ogni tanto. E tutto sempre con la solita vena polemica che lo contraddistingue. Suo malgrado (ma non credo) è diventato l’emblema degli autori di fumetti sul web.

Del RRobe se ne dicono davvero tante in giro. Tanto sono affezionati e smielati i suoi fans fino a rasentare il ridicolo, tanto sono iracondi e perversi i suoi detrattori (fino a rasentare il ridicolo forse più dei suoi fans stessi).
Il problema di Recchioni alla fine è semplice. Di lui si parla molto in rete: ha litigato con qualche webzine (ormai storica la sua diatriba con Fumetto d’Autore), ha sputtanato qualche autore, ha litigato con qualche casa editrice, fa parte di un progetto in cui le cose sono andate male (vedi la recentissima querelle Coniglio Editore-Makkox o il più vecchio caso Cronache del Mondo Emerso), ha litigato con qualcuno sui benedetti forum, e cose così.

Ma col tempo qualcuno potrebbe cominciare a chiedersi cosa ha scritto Recchioni, perché nel frattempo se l’è dimenticato. Qualcuno potrebbe chiedersi se Recchioni è ancora uno scrittore o, suo malgrado, un fenomeno da baraccone, invischiato in polemiche che forse hanno preso una direzione non prevista né voluta all’inizio.

Sono in definitiva comportamenti che reputo altamente dannosi al mondo del fumetto, un mondo troppo piccolo per potersi permettere queste divisioni interne così marcate. Sembra ormai che questo mondo sia animato più dagli scontri reciproci di autori e lettori che dalle proposte concrete, dalle letture, dalla passione. Il web ormai è diventato un ring troppo grande per non tentare sempre più persone di partecipare allo scontro, per raggiungere il loro agognato quarto d’ora di notorietà, dando forse ragione a chi dice che il fumetto è roba per bambini, visti i comportamenti di chi ne è appassionato.

Ora

Queste sono mie opinioni, derivate da anni ed anni di frequentazioni di forum, siti e blog assortiti. E mi sto rendendo conto benissimo che mettendo nero su bianco queste mie impressioni in un certo modo partecipo a quello stesso mondo che fin qui ho denigrato. La morte di Sergio Bonelli e la sua conseguente beatificazione, giustificata o meno, ha reso gli animi un po’ più esasperati (Sergio L. Duma e tutta la sfilza di autori che si sono impegnati nel rispondergli ne sono la testimonianza più lampante), ma credo che sia questo il momento giusto per cercare di individuare questi difetti, e cercare di fare tutti un passo indietro, di distendere gli animi, di cercare un po’ di rispetto reciproco, e soprattutto, di cercare di aumentare il distacco fra lettore e autore, di non svelare qualsiasi retroscena che si cela dietro alla mancata pubblicazione degli ultimi numeri di Canemucco, del ritardo di Kepher, degli ultimi numeri di Trigger o di che cazzo altro so io.
Perché sinceramente non serve a niente saperlo, perché è gossip puro e becero come quello di Novella 2000.

Se Sergio Bonelli ha insegnato qualcosa è stato proprio questo: l’amicizia, la passione e perchè no?, anche l'ingenuità che deve accomunare chi con i fumetti ci sogna e chi con i fumetti ci campa, perché in fondo siam tutti sulla stessa barca, editori, autori e lettori. Abbiamo tutti uno stesso credo.

Almeno questo, al Sergione nazionale, glielo dobbiamo riconoscere.



AGGIORNAMENTO
Il sito Lo Spazio Bianco ha pubblicato un gran bell'articolo che tocca alcuni dei temi di cui ho parlato in questo post. L'articolo sta QUI, buona lettura.

domenica 9 ottobre 2011

Da Shanghai con Furore




Compro tutto quello che scrive Gianfranco Manfredi, fosse anche l'oroscopo del lunedì. Non perché Manfredi sia l'Alan Moore italiano, come qualcuno (peraltro all'estero) lo ha definito, non perché il suo stile di scrittura sia vicino alle mie corde, anzi, personalmente prediligo un racconto forse diametralmente opposto al consueto modo di narrare di Manfredi, meno avventuroso e più intimista.
Leggo i suoi lavori semplicemente perché è bravissimo nel realizzarli.

Manfredi affronta le sceneggiature in maniera scientifica, in modo che tutto ritorni, eppur si avverte palesemente di come tutto ciò gli riesca in maniera naturale. Nei Bonelli specialmente, riesce a realizzare cose che probabilmente nessuno ha realizzato prima: dall'estrema violenza degli ultimi numeri di Magico Vento, alla storia tutta italiana di Volto Nascosto, passando per piccole chicche, minute sequenze nelle sue storie che sprigionano un'originalità che varca anche gli stessi confini bonelliani, come noto molto rigidi (almeno all'apparenza).

Prendete Ugo Pastore, il protagonista di Volto Nascosto e della nuova miniserie Shangai Devil: un personaggio decisamente sopra le righe, magari dai solidi valori molari, ma che non disdegna prostitute, alcool, ozio e quant'altro.

E le ambientazioni: ha realizzato il primo fumetto Bonelli che ha come tema centrale una storia tutta italiana (Volto Nascosto appunto, che narra delle guerre coloniali in Africa alla fine dell'800). Adesso parla del passato della Cina, ovvero i nuovi padroni del mondo. E lo fa attraverso una documentazione storica che farebbe invidia all'Einaudi, se non fosse che Manfredi, magicamente, riesce sempre e comunque a non essere pedante, a mettere in primo piano la narrazione, più che lo sfondo storico.

Pochi giorni fa ha dichiarato: "Mi intristisce vedere, in molti graphic novel, un certo ripiegamento intimistico su piccole storie, con scenari deprimenti e una malinconia devastante. Nei fumetti si possono affrontare argomenti e scenari grandiosi a basso costo. Per cui val la pena osare".
Credo che il suo modo di scrivere e di interpretare la narrativa si possa riassumere tutto in questo frase.

Manfredi è furbo, ragazzi. In un mondo in cui tutto è stato raccontato, e trovare storie nuove è impresa impossibile (dove per "storie" intendo proprio i "soggetti", tecnicamente parlando), Manfredi ha saccheggiato a piene mani un patrimonio che è li, alla portata di tutti, fresco e affascinante come una novella di Salgari al tramonto dell'800: è la Storia, quella con la esse maiuscola, ricca di personaggi, di avventura, di drammi, di epopee. Ricca di cose da raccontare, insomma, cose peraltro oscure a più. Come la Rivolta dei Boxer, ad esempio.

L'8 Ottobre è uscito il primo numero della sua nuova miniserie per la Sergio Bonelli Editore, Shanghai Devil, dal titolo "Il Trafficante d'Oppio", disegnato da Mastro Massimo Rotundo (non in una delle sue migliori prove, secondo me). E che ti devo dire, caro mio? Un numero perfetto, nulla più. Nessun capolavoro, nessun caposaldo della narrativa popolare e non di 'sta ceppa, i sensazionalismi li lascio ad altri. Semplicemente una bella storia, sceneggiata in maniera sublime, ricca di elementi sia narrativi che visivi, eppur nella lettura leggera come una piuma.
Oddio, forse io c'ho capito poco del discorso del maestro Ziwen sul traffico d'oppio, però vedo che Ugo l'ha capito (non si sa come), ma son quisquilie che rendono Manfredi almeno umano.

Ecco, se un giorno dovessi decidere di fare l'autore, di raccontare storie, credo che prenderei qualsiasi fumetto di Manfredi e lo studierei: perché alla fine, al di là delle cose narrate, sono degli autentici manuali di sceneggiatura.

Comunque: QUI trovate il minisito dedicato alla miniserie, QUI trovate la scheda del primo numero, e QUI la pagina facebook non ufficiale più curata (almeno sin'ora).
Shanghai Devil è interamente ambientato in Cina, durante la rivolta dei boxer (vai QUI per sapere cos'è se non lo sai). Inutile dire che questa miniserie può essere di grande aiuto per capire chi sono i cinesi, da dove deriva la loro attuale situazione socio-politica, e perché no? capire anche quante ne hanno passate prima di dare un sonoro calcio in culo all'America sul trono del mondo.

Non che quest'ultima cosa mi garbi, comunque. Io sono per gli ex-aequo.