venerdì 1 aprile 2011

Tutto il Sapere del Mondo



Non so di preciso cosa mi abbia colpito così tanto di Parigi. Forse la Gioconda che mi guarda con aria beffarda, forse la Tour Eiffel che si staglia gigantesca sull'orizzonte, illuminata come un albero di Natale, con un faro sulla sommità che, ammetto, assomiglia pericolosamente all'Occhio di Sauron. Forse mi è rimasta nell'animo la chiesa del Sacro Cuore a Montmartre, ai suoi piedi ragazzi che suonavano, che brekkavano, che facevano jam-sessions, che ballavano, o che semplicemente si gustavano una birra.

Forse mi ha colpito l'atmosfera, che si avverte, pur essendo invisibile. Forse mi ha colpito l'odiosa mercificazione dei quartieri tanto cari a Baudelaire e Rimbaud, forse mi ha colpito il grande orologio del Museo d'Orsay, forse mi hanno colpito i tunisini che vendevano i biglietti della metrò e le sigarette di contrabbando, mi ha colpito l'impossibilità di sedersi su un marciapiede e rimanere solo.

Mi ha colpito Père Lachaise, con le sue sculture funerarie a cielo aperto, le transenne che circondano la tomba di Jim Morrison, mi ha colpito Notre Dame e i suoi interminabili pilastri, mi hanno colpito i giardini del Louvre e il polveroso pezzo di piramide "trapiantato" in quel posto, mi hanno colpito le pinzette per le sopracciglia che usavano gli antichi, antichissimi egizi.

Potrei continuare per ore, e non ne avrei mai abbastanza. Un mondo nuovo, un ennesimo meltin-pot, ma stavolta non vivente come a Londra, ma fatto di personalità passate, di storia, di posti vissuti dagli immortali morti prima di me, di autentici pezzi del sapere. Visitare tutti i musei di Parigi, capirli, viverli, significa aver visto quasi tutto il Sapere del Mondo, perfettamente catalogato, esposto senza vergogna o esitazione.

E' la città degli artisti, è la città di chi si dirige in quel posto con sulle labbra un sogno, sussurrato, di rivoluzione interiore e di rivoluzione sociale, di pacato riscatto nei confronti dei propri stessi occhi, di conquista, un'America europea, che ti promette banalità o grandezza imperitura, ma rispetta gli impegni col sol fatto di esistere.

Parigi non mi ha colpito, in fin dei conti, mi ha letteralmente malmenato, stuprato, distrutto: le mie convinzioni si sono sfaldate, non esistono più, solo dubbi su cosa ho visto, su cosa ho vissuto, su cosa un posto fatto di banali ma magnificenti palazzi può offrirmi, un'offerta che hanno raccolto tantissimi grandi della piccola storia dell'umanità, eterno esempio per le generazioni passate, presenti e (speriamo) future.

Davvero non credevo, non pensavo, che al cospetto di tanta magnificenza, mi sarei potuto sentire così piccolo, eppure così di grande valore e potenzialità. Parigi ti entra nel sangue, nelle vene, ti dice che tu puoi fare qualsiasi cosa, ti rende onnipotente, anche solo per una frazione di secondo, ti seduce come la più mefistofelica delle puttane, ti promette orge oltre ogni comune senso del pudore, pericolosa come un killer, amorevole come una madre.

La mia pochezza, come pisciata nell'oceano, si dissolve, e assieme ad essa tutto il mio mondo, chi ho conosciuto, chi ho amato, chi ho odiato, amici, compagni, familiari, nemici: c'è altro sullo sfondo, infinitamente più grande ed importante. Ho annusato i Fiori del Male, ho vissuto i Paradisi Artificiali, ho visto la musica grazie a Kandisky, sullo sfondo dei cubi rotondi, grazie a Picasso. Non c'è limite né confine a tutto questo, se non i limiti che io voglio dare. Sta qui il grande dilemma, sta nell'esistenza autonoma dei confini del sapere il problema.

Non ci credevo. Era impossibile anche solo sognarlo.
Ma ci speravo. Adesso ho un crocicchio davanti a me.
E una festa di amici che mi attende.

1 commento:

  1. Non potevi descrivere meglio tutto quello che abbiamo assaporato, hai dato vita ai miei pensieri inespressi; con il tuo lirismo ritrovato, per la prima volta dopo tanto tempo, hai saputo dare forma a tutte quelle sensazioni che, finalmente, sono state condivise...

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